Premessa (lunga): da informatico, il mio concetto di "aperto" è legato alla programmazione; sarà antiquato ma è molto semplice.
Per me aperto significa libero, condiviso e migliorabile. (Punto)
Questo vale per il software ma ho imparato che vale, se possibile ancora di più, per la conoscenza. (Altro Punto)
Purtroppo oggi un po' di esperienza e, ahimè, qualche capello bianco mi fanno avvicinare ormai con molta circospezione a tutto ciò che, soprattutto in Italia, utilizza l'aggettivo "open".
Nel nostro Paese l'apertura esercita un irresistibile fascino, ma la sua espressione inglese riesce a farlo ancora di più :unoopen è il codice,  open il bar, open i dati, open gli spazi, open le licenze, open le mappe, open la formazione, open anche la Pubblica Amministrazione e così via...
Sembra quasi che aggiungendo il prefisso "open" a qualunque attività vetusta, statica e poco attrattiva, questa acquisisca magicamente una nuova linfa di modernità e di dinamicità.
Tutto ciò che è aperto ci piace, ammettiamolo: su Facebook, un qualunque post  in cui compare il termine "open" (magari in maiuscolo) fa scattare i nostri LIKE come fosse un riflesso condizionato.
Mi ricorda quella vecchia battuta "non capisco ma mi adeguo" : per la serie "non so di cosa tu stia parlando, ma qui c'e' scritto OPEN e quindi mi piace. Anzi, mi piace molto!".
L'impressione però è che il tema "open", sbandierato spesso e volentieri solo come elemento di marketing, stia finendo per svilire e banalizzare la vera portata innovativa di un mondo basato su una conoscenza davvero libera e condivisa.due
Ed allora succede che una Pubblica Amministrazione fa dell'"open government" se pubblica sul sito internet l'email degli amministratori (e magari dimentica di pubblicare l'albo pretorio), un'altra fa "open data" se pubblica in perfetto formato XML/RDF  le ricette tradizionali della cucina locale (e purtroppo pubblica distrattamente in formato DOC e PDF le determine dirigenziali), un'azienda sviluppa software "open source" (e casualmente dimentica da sempre di rendere disponibile il codice).
A mio avviso, l'utilizzo distorto di questi concetti porta ad ampliare il digital divide, quel divario culturale tra chi conosce correttamente il significato e la portata di certe tematiche e chi invece rimane indottrinato superficialmente e si limita ad osservare passivamente gli "effetti speciali" raccontati nei comunicati stampa o nei convegni.


Qualche giorno fa ho partecipato al Linux Day nella mia città.
Sinceramente mi ha incuriosito l'invito arrivato non da un collega informatico ma da un amico medico. Circostanza sicuramente originale: ciononostante pensavo di trovare intorno ad un tavolo e ad altrettanti computer una decina di persone, i "soliti" smanettoni insomma.
Ed invece no. Una sala gremita di gente di tutte le età: studenti medi, universitari, professionisti, appassionati, semplici curiosi, tutti intenti ad ascoltare gli interventi in programma.
Nessun prestigiatore, nè guru alla "iosonoiltuohacker", nè la fiera del "guardaquantosonobravoio".
Ho visto invece tanto impegno, tanto entusiasmo e tantissima voglia di fare e di raccontare.
Un'organizzazione semplice e genuina con tutti i piccoli problemi tecnici che tipicamente ricorrono quando le iniziative volontarie si organizzano strappando i minuti dalle proprie attività quotidiane. Ma ci sta e fa "Linux Day" anche quello.
Molto bello ed incoraggiante: ritengo importante e imprescindibile la divulgazione corretta su questi temi per creare una conoscenza condivisa e consapevole.
Credo tutti noi in platea abbiamo avuto un'idea più chiara di cosa si può davvero, concretamente, fare con questi strumenti "open".
Tutto questo è meritorio. Meritorio come altre iniziative che ho visto partire in città. Mi riferisco al CoderDojo per esempio. Un'iniziativa che in ambito open source avvicina i bambini ai concetti della programmazione: per una volta non spettatori "di fronte" ad un videogioco ma giocando da protagonisti da "dentro".
Fa parte anche questo della divulgazione verso le nuovissime generazioni.

Personalmente pur occupandomi di tecnologia, mi preoccupa un mondo di tecnocrati, in cui pochi hanno la conoscenza degli strumenti più moderni.
Preferisco la condivisione e la libertà:  come per il software, così per la conoscenza più ampia, non possono che portare al miglioramento personale e della comunità.

Il Linux Day di Matera partiva da una citazione importante di Einstein:  "chi ha il privilegio di conoscere ha il dovere di agire" .
La citazione in realtà è più lunga e mi piace ricordarla in versione integrale: "chi ha il privilegio di conoscere ha il dovere di agire ed in quell'azione ci sono i semi della nuova conoscenza".
E se lo dice Einstein...come non condividere ?

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...ma sei nato in Italy !

Questa la famosa canzone di Renato Carosone che scherzava sull'abitudine tutta italica di importare ed imitare mode e manie provenienti da oltre oceano.

Mi è tornata in mente in questi giorni quando ho ascoltato il breve discorso del Presidente Obama con cui invitava i giovani allo studio dell'informatica.


Dice il Presidente ai giovani:
"Non limitatevi a comprare un nuovo videogioco, createne uno!
Non limitatevi a scaricare l'ultima app, aiutate a progettarla!
Non limitatevi a giocare con il vostro telefono, imparate a programmarlo!"

E' poco più di un tweet come numero di caratteri ma è assolutamente efficace!
Delle sue parole colpiscono la chiarezza e l'entusiasmo del messaggio.

Altri due passaggi mi sembrano importanti da sottolineare.
"Imparare a lavorare con le nuove tecnologie non è importante solo per il vostro futuro, è importante per il futuro della nostra Nazione. Se vogliamo che l'America rimanga all'avanguardia, abbiamo bisogno che giovani Americani come voi sappiano padroneggiare gli strumenti e le tecnologie che stanno cambiando la nostra realtà"
E poi :"Ovunque viviate, in una grande città o in un piccolo paese, il computer può essere una grande opportunità per il vostro futuro".

Un discorso rivolto al futuro (il Presidente usa molte volte questa parola), alle nuove generazioni, per dar loro una traccia, un'indicazione su come investire il proprio tempo e su come utilizzare le opportunità della Rete.

Bene: mi ha colpito il riconoscimento chiaro ed esplicito che il futuro di un Paese passa dalla forza delle nuove generazioni e dalla loro capacità di innovare.
Uno Stato moderno che vuole avere un futuro deve investire nei propri giovani.

E poi un passaggio importante a me molto caro: ovunque esiste l'opportunità di essere protagonisti grazie proprio alla Rete, non solo a New York o nella Silicon Valley. Anche in Basilicata!

Opportunità, appunto. Ed un Paese che guarda al futuro deve saper costruire opportunità adeguate per i propri giovani.

Un discorso breve ed intenso, quello di Obama, che fa appassionare anche me che ormai conto ben più di un capello bianco!

Poi...
...poi ritorno nella nostra realtà e mi ritrovo tra le mani le statistiche della Comunità Europea sull'ICT nelle scuole tecniche europee.
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Mi colpisce in particolare quella relativa al numero di computer ogni 100 studenti: in Italia circa 9 computer ogni 100 studenti.
Dato che diventa ancora peggiore se si guarda quanto succede nella scuola primaria: 6 computer ogni 100 bambini!
Siamo troppo in fondo e lontani perchè la nostra istruzione tecnica sia al passo con quanto sta accadendo altrove nel mondo.
Troppo in fondo per dare ai nostri ragazzi le stesse opportunità dei loro coetanei che vivono ed imparano negli altri Paesi.
Questo gap che nasce nella scuola fatalmente si amplifica e riverbera sulla reale capacità di uno stato di essere innovativo e competitivo.

Importante avere consapevolezza di questo: si tratta di opportunità da creare ed opportunità da cogliere.

Quello dell'innovazione è un treno che passa velocissimo, ancora più veloce degli anni passati, non rallenta e non si ferma ad aspettare nessuno: non possiamo permettere alle nostre nuove generazioni di perderlo.

I nostri giovani sono esattamente quelli che vede Obama: ragazzi con in mano videogiochi, app e cellulari.

Chi di noi li invita a fare un passo in più? A trasformarsi da utenti banali e passivi a ..sviluppatori attivi?
Nel mio piccolo è quello che provo a raccontare in Facoltà ai miei studenti.
Ma ci vogliono voci ben più autorevoli della mia per cambiare lo stato delle cose!

Altrimenti, non ci rimarrà che giocare a fare gli Americani ma... con la consapevolezza che come dice Carosone ...siamo nati in Italy!